22 Febbraio 2023
Il licenziamento di un’apprendista che ha avuto una recente gravidanza può, in alcuni casi, essere considerato un atto discriminatorio, anche se adottato al termine del periodo formativo.
Questa è la conclusione alla quale è giunta la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3361 del 3 febbraio 2023.
Nel caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour, la lavoratrice era stata l’unica apprendista (su circa duecento) ad essere licenziata al termine della formazione e aveva addebitato tale disparità di trattamento alle due gravidanze portate a termine durante il periodo di apprendistato, che ne avevano inevitabilmente implicato un prolungamento.
La domanda della lavoratrice, dopo essere stata accolta in primo grado, veniva respinta dalla Corte d’Appello, ritenendo che la ricorrente non fosse riuscita a fornire la prova del carattere discriminatorio del comportamento del datore di lavoro, che – in virtù di quanto previsto dall’art. 42, co. 4, del d.lgs 81/2015 – al termine del periodo di apprendistato aveva deciso di recedere dal contratto.
La Cassazione, a differenza del giudice di secondo grado, ha accolto il ricorso dell’apprendista, affermando che in tema di comportamenti datoriali discriminatori, vi è un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore di chi avvia il giudizio.
Secondo i Giudici, chi lamenta una condotta datoriale discriminatoria è tenuto solo a dimostrare un’ingiustificata differenza di trattamento o anche solo una posizione di particolare svantaggio, tale da integrare una presunzione di discriminazione, restando, invece, a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare le circostanze inequivoche, idonee a escludere, la natura discriminatoria della condotta.
La lavoratrice, quindi, era tenuta unicamente a dimostrare di essere portatrice di un fattore di discriminazione (in tal caso costituito dalla circostanza di aver avuto una gravidanza diciassette mesi prima dal recesso dal contratto di apprendistato) o di aver avuto un trattamento di svantaggio da parte del datore di lavoro per tale ragione (nel caso di specie costituito dalla circostanza che il suo contratto di apprendistato è stato l’unico su duecento a non essere stato trasformato a tempo indeterminato).
Per cui a seguito della suddetta presunzione di discriminazione, secondo quanto stabilito con l’ordinanza in questione dalla Suprema Corte di Cassazione, è il datore di lavoro a dover dimostrare – servendosi di circostanze inequivoche e concordanti – che la propria condotta non è discriminatoria.
Inoltre spetta alla parte datoriale l’onere – certamente non di poco conto e per nulla agevole – di provare che la propria decisione sia frutto di una libera scelta imprenditoriale (anche basata sulla valutazione delle capacità del prestatore di lavoro) e che non sia stata influenzata in alcun modo da eventi che riguardino il sesso, la razza, la religione, le opinioni politiche o sindacali oppure l’età o le condizioni di salute del lavoratore.