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Applicazione di ccnl “non rappresentativi” e benefici contributivi.

18 Giugno 2019

La recente circolare dell’Ispettorato del Lavoro n. 7 del 6 maggio 2019 torna sulla materia dell’applicazione dei ccnl non sottoscritti dalle OO.SS. più rappresentative, rammentando che, ai sensi dell’art. 1, co. 1175, della l. 296/2006, “i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”

Per comprendere bene la problematica, occorre ricordare che il comma 1 dell’art. 39 della Costituzione, al fine di prevenire il ripetersi del sistema corporativistico introdotto dal regime fascista, ha sancito il principio della “libertà sindacale”, cosicché oggi le OO.SS. non hanno bisogno di alcun riconoscimento da parte della legge.

I successivi commi dell’art. 39 cit., inoltre, prevedono un sistema per la stipula di contratti collettivi applicabili a “tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce” (cd. efficacia erga omnes), sottoposto tuttavia all’adozione di alcuni provvedimenti applicativi da parte del Legislatore.

Detti provvedimenti, per diverse ragioni (tra cui, principalmente, il timore di un controllo governativo sull’andamento dei sindacati), non sono però mai stati adottati, cosicché ad oggi i contratti collettivi costituiscono contratti di diritto comune e si applicano solo alle parti che (tramite iscrizioni alle organizzazioni stipulati o mediante rinvio) vi aderiscano.

In tale contesto, è proliferato il numero di ccnl applicabili astrattamente ai medesimi settori produttivi, non tutti sottoscritti da sindacati effettivamente rappresentative.

Per contrastare tale fenomeno, il Legislatore, con la disposizione sopra riportata, ha subordinato l’applicazione di eventuali benefici normativi e contributivi all’applicazione del cd. ccnl leader, e cioè al contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, inoltre, a partire dalla sua istituzione, ha avviato una particolare campagna di controlli sul rispetto di tale regola – che ha già portato alla revoca, con effetto retroattivo, dei suddetti benefici, con conseguente riaddebito dei contributi non versati – peraltro precisando, con news pubblicata sul proprio sito internet in data 20 giugno 2018 (successivamente rimosso), che “l’azione si concentra nei confronti delle imprese che non applicano i contratti “leader” sottoscritti da CGIL, CISL e UIL ma i contratti stipulati da OO.SS. che, nel settore, risultano comparativamente meno rappresentative (CISAL, CONFSAL e altre sigle minoritarie)”.

Ciò posto, con la circolare in esame, l’Ispettorato ha fornito ulteriori chiarimenti in ordine al contenuto della suddetta disposizione normativa, precisando che la stessa non impone alle parti del rapporto di lavoro di applicare un determinato ccnl (atteso che un simile obbligo contrasterebbe con l’art. 39 della Costituzione), ma di applicare ai lavoratori un trattamento normativo ed economico non inferiore a quello previsto dal contratto leader.

La norma, infatti, chiede il rispetto degli “accordi e contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, condizione che, secondo l’Ispettorato, può considerarsi soddisfatta anche qualora il datore di lavoro “si obblighi a corrispondere ai lavoratori dei trattamenti economici e normativi equivalenti o superiori a quelli previsti da tali contratti”.

Ai fini di tale valutazione, inoltre, occorre tener conto di tutti i trattamenti previsti dai ccnl, ad esclusione di quelli che siano sottoposti, in tutto o in parte, a regimi di esenzione contributiva e/o fiscale (come ad es. avviene per il c.d. welfare aziendale).

Nel settore degli Enti no-profit, inoltre, tale orientamento è stato recepito dal Legislatore (cfr. art. 16 del d.lgs. 117/2017 e art. 13 del d.lgs. 112/2017), il quale ha previsto che – negli Enti del Terzo Settore e nelle Imprese Sociali – il trattamento economico e normativo dei lavoratori non possa essere inferiore a quello previsto dai “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.

Alla luce di quanto sopra, i datori di lavoro interessati a godere dei benefici di cui sopra, ed in ogni caso tutti gli enti che intendano acquisire la qualifica di ETS o di Impresa Sociale, dovranno garantire a tutto il proprio personale un trattamento (economico e normativo) almeno pari a quello previsto dai contratti più rappresentativi nel settore (come quelli sottoscritti, nell’ambito della sanità privata, dall’ARIS), così da ridurre (ed, anzi, eliminare) ogni utilità di eventuali azioni di dumping contrattuale.

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