6 Maggio 2015
La vicenda in questione trae origine da una recente sentenza (numero 22063/2014) con cui la Corte di Cassazione affronta la questione relativa ai riflessi (in termini risarcitori) di una sentenza di annullamento (per incapacità naturale) delle dimissioni rassegnate da un dipendente.
Nella fattispecie, su ricorso del lavoratore, i giudici di primo e secondo grado avevano annullato le dimissioni presentate dallo stesso perché rassegnate in stato di incapacità riconoscendo il diritto alla continuità del rapporto ed al risarcimento del danno quantificato nelle retribuzioni maturate dalla data della sentenza a quella dell’effettivo ripristino del rapporto lavorativo.
Detto lavoratore ricorreva così in Cassazione chiedendo che fosse riconosciuto il proprio diritto a percepire le retribuzioni maturate sin dalla data delle dimissioni.
Tale pretesa trova, invero, conforto in un risalente (ma consolidato) orientamento giurisprudenziale con cui la Suprema Corte, facendo leva sul principio per il quale la durata del processo non deve mai andare a detrimento della parte vincitrice, aveva stabilito che gli effetti patrimoniali delle sentenze di annullamento delle dimissioni dovessero retroagire alla data delle stesse.
Ebbene, con la sentenza in rassegna la Cassazione sancisce l’abbandono proprio dell’assunto in questione.
In particolare la Corte fonda il percorso logico-giuridico illustrato nelle motivazioni della pronuncia in commento sulla natura sinallagmatica del rapporto di lavoro il quale presuppone sempre, ai fini dell’adempimento dell’obbligazione retributiva, che sia messa a disposizione del datore di lavoro la prestazione lavorativa.
In buona sostanza, ad avviso dei giudici di legittimità, il principio secondo il quale l’annullamento di un negozio giuridico (nella specie le dimissioni invalide) ha efficacia retroattiva non postula l’automatico diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro; ciò in quanto la retribuzione presuppone la prestazione dell’attività lavorativa onde il pagamento della prima in mancanza della seconda rappresenta una mera eccezione la quale (come nelle ipotesi di malattia o licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo) deve essere espressamente prevista dalla legge.
In base alle considerazioni svolte, appare dunque ragionevole aderire all’orientamento espresso nella sentenza in commento in cui la Suprema Corte statuisce che: “il lavoratore reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento delle dimissioni ha diritto alle retribuzioni , maturate dalla sentenza e non anche all’epoca delle dimissioni”.