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Anche la Corte d’Appello conferma che occorre fare riferimento all’orario normale di lavoro per quantificare le assenze per i permessi ex lege 104

29 Agosto 2023

Con motivazioni pubblicate lo scorso 26 luglio, la Corte d’Appello di Roma (sentenza n. 2555/23), ha pienamente confermato la decisione assunta dal Tribunale di Velletri (cfr., sul punto, news del 31 gennaio 2020) in merito ai criteri di valorizzazione delle assenze del personale turnista e non per l’assolvimento del debito orario.

Con particolare riferimento alle assenze per la fruizione “a giornata” dei permessi ex lege 104, le stesse devono essere quantificate dalle strutture sanitarie e socio sanitarie come 1/26 del monte orario mensile a prescindere dalla durata delle prestazioni che il dipendente avrebbe dovuto rendere nella giornata.

La Corte territoriale, dopo aver correttamente richiamato la prassi amministrativa INPS sul tema, ha dato giusta rilevanza all’orientamento espresso (rectius: ribadito) dal Ministero del Lavoro (nota 32/14) in risposta all’istanza di interpello n. 882/13 del 2 dicembre 2013 dell’ARIS – poi confermato dalla circolare n. 3114/18 dell’Istituto Previdenziale – e, avallando pienamente le conclusioni cui è giunto il giudice di prime cure, ha affermato quanto segue: “Il Tribunale, con motivazione esente da censura, richiamato l’orario normale di lavoro previsto dal CCNL di riferimento, fissato in 36 ore settimanali (art. 18), e la paga giornaliera determinata nella misura di 1/26 delle competenze della retribuzione ( art 58 CCNL), ha ritenuto corretto in base alle direttive ministeriali il calcolo effettuato dal datore di lavoro secondo cui l’orario di lavoro giornaliero contrattuale è di 6 ore ( 36 -ore settimanali-x 52 -numero settimane in un anno-/ 12 -mesi dell’anno-/ 26 -paga giornaliera-). A questo deve dunque farsi riferimento per “quantificare” l’assenza per i permessi 104 e la relativa retribuzione, rispondendo la posizione assunta dalla Direzione Generale del Ministero del Lavoro all’esigenza di evitare che il datore di lavoro, al quale l’Inps rimborsa un importo pari alla paga globale di fatto giornaliera, subisca il pregiudizio economico derivante dal pagamento della retribuzione per un numero di ore eccedenti quelle considerate dall’Inps”.

Come si ricorderà, infatti, il Dicastero aveva precisato, a titolo esemplificativo, che se un lavoratore si assenta dal servizio in una giornata nella quale è programmato un turno con orario superiore a quello ordinario previsto dalla contrattazione collettiva (a titolo esemplificativo, 10 ore in luogo di 8 ore ordinarie), l’assenza stessa deve essere conteggiata, sia ai fini contrattuali sia retributivi, in base a quest’ultimo, ma il lavoratore è tenuto a recuperare in un altro giorno le ore di lavoro non effettuate, realizzandosi, di fatto, un debito orario nei confronti del datore di lavoro.

Di contro, nel caso in cui l’orario del turno programmato nella giornata di assenza risulta inferiore alle ore lavorative ordinarie giornaliere, il lavoratore matura un credito orario.

La pronuncia in questione assume particolare importanza anche perché riguarda non solo il caso del personale turnista, ma anche quello dei lavoratori con orario settimanale fisso articolato su cinque giorni (cd.  settimana corta).

Infatti, i lavoratori che hanno adito a suo tempo il Tribunale (e poi la Corte d’Appello) osservavano taluni turni articolati sulle 24 ore (7-14/14-21/21-7), con durata del turno mattutino e pomeridiano pari a 7 ore e del turno notturno pari a 10 ore, con riconoscimento di 14 minuti al di fuori dell’orario di servizio per le attività di vestizione e svestizione; altri, invece, osservavano turni articolati sulle 12 ore, sviluppati su 5/6 giorni a settimana, con durata del turno pari a 7 ore e 12 minuti al giorno per 5 giorni e/o 6 ore al giorno per 6 giorni, comprensivi delle attività di vestizione/svestizione. Tale decisione pone fine (una volta per tutte, si auspica) alla dibattuta questione, valorizzando ancora una volta la correttezza della ratio posta a fondamento del principio su espresso, vale a dire – come espressamente rilevato nella sentenza di primo grado – “non consentire alcun ingiustificato arricchimento del lavoratore nella scelta della giornata di permesso da usufruire a seconda dell’orario di turno programmato”.

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