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Anche i licenziamenti per inidoneità alla mansione rimangono preclusi

26 Giugno 2020

Con la recentissima nota n. 298 del 24 giugno u. s. la Direzione Centrale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, fornendo una propria interpretazione dell’art. 46 del decreto “Cura Italia” (come successivamente integrato dalla legge di conversione e dal decreto “Rilancio”), ha esteso il divieto di licenziamento anche all’ipotesi di inidoneità alla mansione del lavoratore.

La citata norma – oltre a precludere la possibilità di avviare procedure per licenziamento collettivo e sospendere quelle in corso avviate dopo il 23 febbraio 2020 (“fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore…”) – fino al prossimo 17 agosto 2020 vieta ai datori di lavoro di recedere dal rapporto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604 (per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa), sospendendo altresì “le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (ossia quelle svolte presso gli Ispettorati del lavoro territorialmente competenti).

Sul piano operativo, sin da subito la suddetta disciplina ha posto rilevanti problemi interpretativi ed applicativi (come già segnalato nella precedente news del 15 aprile u.s.), ad esempio in ordine alla possibilità di procedere al licenziamento del lavoratore per inidoneità sopravvenuta alla mansione.

Infatti, se da una parte la norma sembrava imporre un divieto generalizzato in ordine a tutti i licenziamenti per g.m.o., dall’altra, risultava evidente che la vera finalità della citata disciplina fosse quella di evitare l’eventuale licenziamento di personale a causa della sospensione o riduzione delle attività dovute all’emergenza sanitaria in corso.

In tale contesto si inserisce la posizione assunta dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota in commento, il quale – partendo dal presupposto che “il legislatore ha inteso conferire alla norma un carattere generale, con la conseguenza che devono ritenersi ricomprese nel suo alveo tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1966” – ha ritenuto preclusa la possibilità di recedere dal rapporto di lavoro anche nel caso di inidoneità sopravvenuta alla mansione, in quanto tale circostanza “impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, anche attraverso un adeguamento dell’organizzazione aziendale (cfr. Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 27243 del 26 ottobre 2018; Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 13649 del 21 maggio 2019)”.

Ebbene, una simile interpretazione non appare convincente, non solo perché non sembra fare i conti con la ratio della norma (che, come anticipato, è quella di evitare i licenziamenti dovuti alla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa a causa del Covid), ma soprattutto perché appare in contrasto con gli interessi del lavoratore, il quale – in assenza di posizioni alternative per la ricollocazione – potrebbe andare incontro alla sospensione dal servizio senza retribuzione (in attesa della cessazione del rapporto), con l’inevitabile conseguenza di non poter avere immediato accesso agli ammortizzatori sociali.

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