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Anche i 15 giorni aggiuntivi di congedo parentale dovrebbero essere soggetti alle esigenze organizzative

30 Marzo 2020

Nelle ultime settimane il Governo ha varato molti provvedimenti atti a consentire ai cittadini di far fronte al meglio al periodo di quarantena imposto per l’emergenza coronavirus.

Tra questi il più importante è senza dubbio il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. “Cura Italia”) che prevede, tra le altre cose, un rilevante ampliamento per i mesi di marzo e aprile dei permessi “104” e del congedo parentale per i lavoratori con figli di età non superiore ai 12 anni.

Tuttavia, se in linea di principio gli incrementi dei permessi sono assolutamente condivisibili, in quanto previsti a tutela di lavoratori che stanno vivendo una condizione di estremo disagio (potendo inoltre costituire, di fatto, una misura di sostegno al reddito), il ruolo oggi ricoperto dagli operatori sanitari impone inevitabilmente per costoro una esplicita differenziazione.

Ed infatti il legislatore, con riferimento ai permessi “104” (già oggetto di una precedente news), ha precisato all’art. 24 del “Cura Italia” che tale beneficio «è riconosciuto al personale sanitario compatibilmente con le esigenze organizzative delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale impegnati nell’emergenza COVID-19 e del comparto sanità», onde evitare per l’appunto di limitare gli organici in momenti in cui l’apporto professionale di tali lavoratori appare irrinunciabile per la tutela della salute pubblica.

Manca, tuttavia, un’analoga previsione per quanto riguarda il periodo di 15 giorni ulteriori di congedo parentale introdotti dall’art. 23 del D.L. 18/20 (art. 25 per i lavoratori del settore pubblico), per i quali la lettera della norma sembrerebbe rendere possibile la richiesta del congedo in qualunque caso.

Per questo motivo l’Aris, al momento dell’entrata in vigore del “Cura Italia”, ha richiesto chiarimenti al Governo, sottolineando che uno dei punti cardine del Decreto sia quello di potenziare il SSN, ritenendo « …, paradossale che un testo legislativo finalizzato a fronteggiare l’emergenza sanitaria COVID-19, ne ostacolasse l’adeguata gestione rendendo ancor più rilevante la carenza di personale delle strutture».

Oltretutto è lo stesso art.25 D.L. 18/20 a ritenere “particolare” la situazione dei lavoratori del settore sanitario, atteso che, limitatamente a quest’ultimo settore, lo stesso prevede un incremento del “bonus baby-sitter” sino a 1000 euro (per il quale, per completezza, si rimanda alla precedente news).

Nelle more del suddetto chiarimento l’Aris si riservava, in considerazione della situazione di assoluta emergenza, di concedere il beneficio solamente dopo un’attenta valutazione dell’esigenze organizzative delle singole strutture.

Una simile lettura delle modalità di concessione del suddetto congedo parentale – seppure criticata dalle organizzazioni sindacali – è condivisa anche nel settore pubblico: infatti, con nota del 26 marzo 2020, il Dipartimento per la Pianificazione Strategica dell’Assessorato Regionale della Salute della Regione Sicilia ha affermato, proprio con riferimento al suddetto congedo parentale, che «È di tutta evidenza che la possibilità di fruizione di tale beneficio da parte del personale sanitario impegnato nell’emergenza COVID-19, potrà essere riconosciuta compatibilmente con le esigenze organizzative dell’Azienda e, quindi, limitatamente ai casi in cui non ne derivi un pregiudizio per l’attività e l’organizzazione del servizio».

In ogni caso, vista la portata della norma e le discordanze interpretative cui sopra si è fatto riferimento, sarà comunque auspicabile che pervenga un pronto riscontro da parte del Governo.

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