16 Settembre 2016
L’accertamento della simulazione fraudolenta dello stato di malattia e la legittimità del licenziamento disciplinare conseguentemente irrogato – profilo quest’ultimo già oggetto della precedente nota del 7 luglio 2009) – risulta di rinnovato interesse alla luce della recentissima pronuncia n. 17113 emessa dalla Corte di Cassazione in data 16 agosto 2016.
Tale ultima sentenza affronta la tematica in argomento sotto un duplice aspetto, vale a dire sia quello afferente alla dichiarazione di legittimità del licenziamento disciplinare irrogato nell’ipotesi di simulata malattia sia quello inerente alle modalità e/o agli strumenti con cui l’accertamento di quest’ultima può essere lecitamente operato dal datore di lavoro.
In sostanza, sotto il primo profilo, gli Ermellini ricalcano sostanzialmente il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (oggetto di analisi nella citata nota del 7 luglio 2009) a mente del quale “lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio dal lavoratore” (Cass. sent. nn. 9474/2009; 14046/2005; 6399/1995).
Applicando tale principio alla fattispecie oggetto della sentenza in esame, la Suprema Corte ha ritenuto – in maniera del tutto condivisibile – che, a fronte del certificato medico attestante una lombalgia inibente la prestazione lavorativa presentato dal dipendente, la condotta incompatibile con la predetta patologia reiteratamente tenuta da quest’ultimo legittimi senz’altro (per intervenuta definitiva lesione del vincolo fiduciario) l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, ossia quella espulsiva.
Ulteriore profilo di interesse della recentissima sentenza in commento – come sopra anticipato e sul quale è indubbiamente utile soffermarsi – concerne la dichiarata ammissibilità del ricorso da parte del datore di lavoro ad un’agenzia investigativa onde effettuare “la ricerca degli elementi utili a verificare l’attendibilità della certificazione medica inviata dal lavoratore…”.
Ebbene gli Ermellini – ricalcando anche in questo caso un orientamento giurisprudenziale più volte confermato, finanche con pronunce risalenti nel tempo (Cass. nn. 25162/2014; 6236/2001; 3704/1987) – hanno ribadito che “le disposizioni della L. n. 300 del 1970 art. 5 (ndr norma che regolamenta gli accertamenti sanitari), non precludono che le risultanze delle certificazioni mediche prodotte dal lavoratore, e in genere degli accertamenti di carattere sanitario, possano essere contestate anche valorizzando ogni circostanza di fatto – pur non risultante da un accertamento sanitario – atta a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, e quindi a giustificare l’assenza. E’, altresì, naturalmente insito in tale giurisprudenza il riconoscimento della facoltà del datore di lavoro di prendere conoscenza di comportamenti del lavoratore, che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, sono rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. In particolare, questa Corte si è già pronunciata in relazione al caso in cui, di fatto, la ricerca degli elementi utili a verificare l’attendibilità della certificazione medica inviata dal lavoratore era stata compiuta da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro (Cass. n. 3704 del 1987).“.
In sostanza, la Suprema Corte – pur riaffermando il principio per cui le agenzie investigative “…. per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori….” – ha parimenti ribadito che l’utilizzo di tali strumenti è senz’altro legittimo per accertare “…. l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011)“.
In conclusione, quindi, è da ritenersi legittimo il ricorso alle agenzie investigative per attuare “… il controllo finalizzato all’accertamento dell’illecita simulazione della malattia, effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa (cfr. Cass. n. 4984 del 2014; più di recente Cass. n. 9749 del 2016)“.