area clienti

Abrogata l’equiparazione tra laurea in scienze motorie e fisioterapia

9 Giugno 2011

In ambito sanitario, molte professioni sono riservate a soggetti in possesso di determinati titoli di studio: basti pensare a medici, psicologi, infermieri, educatori, tecnici sanitari di laboratorio, nonchè alle varie figure di supporto (OTA, OSS, etc.).

Lo svolgimento delle relative mansioni in assenza del titolo deve ritenersi vietato ed, in alcuni casi, può integrare gli estremi del reato di esercizio abusivo della professione, di cui all’art. 348 c.p., a mente del quale “Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da 103 euro a 516 euro”.
Le strutture sanitarie hanno tutto l’interesse a verificare che i propri lavoratori (dipendenti e libero professionisti) siano in possesso del titolo previsto dalla legge per ricoprire la qualifica assegnata e svolgere le relative mansioni; ciò non solo ai fini del rispetto della normativa in materia di accreditamento o di autorizzazione, ma anche per limitare le pretese risarcitorie dei pazienti che vengano a contatto con operatori privi di titolo e per evitare di essere accusate, a loro volta, di concorso nel reato di esercizio abusivo della professione.
Anche il codice civile sanziona l’esercizio abusivo della professione, sancendo che “quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”, con conseguente nullità del contratto in essere.

All’interno di tale contesto si inserisce la disciplina delle equipollenze, ossia dei titoli di studio ritenuti assimilabili a quello richiesto per svolgere una determinata professione.
L’individuazione delle equipollenze è generalmente stabilita a livello normativo (con legge o con decreto ministeriale, su autorizzazione del legislatore), previa comparazione dei rispettivi corsi di studio e delle competenze pratiche acquisite nel corso di eventuali tirocini obbligatori.
Nè il possesso di un titolo che abilita allo svolgimento di mansioni superiori potrebbe essere ritenuto idoneo ai fini dell’esercizio di funzioni che, benchè di contenuto inferiore, siano riservate a soggetti in possesso di un determinato titolo di studio (si pensi ad esempio al medico, al quale è precluso l’esercizio delle mansioni dell’infermiere, ovvero al biologo, il quale non potrebbe legittimamente svolgere le mansioni tipiche del tecnico sanitario di laboratorio).
Generalmente, le equipollenze sono individuate all’interno di corsi di studi istituiti dalla medesima facoltà, al fine di garantire l’omogeneità degli insegnamenti.
Come altre professioni sanitarie, anche quella del fisioterapista è riservata a soggetti in possesso del titolo di studio previsto dalla legge, ossia del diploma di laurea in Fisioterapia (DM 741/94; L. n. 251/00).

L’accesso al corso di studi, a numero chiuso, è riservato agli studenti che abbiano conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado e che abbiano superato un apposito test di ammissione comune a tutti i corsi di laurea appartenenti alla Classe L/SNT02 – Lauree delle professioni sanitarie della riabilitazione, attivati presso le Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Il conseguimento del diploma di laurea costituisce, allo stato, titolo abilitante per lo svolgimento della professione: nonostante la legge n. 43/2006 avesse previsto entro il 4 marzo 2008 l’istituzione di un apposito Albo, tale disposizione è rimasta, infatti, inattuata, con la conseguenza che la sola laurea consente al fisioterapista di esercitare la relativa attività presso strutture pubbliche e private.
Si può, pertanto, immaginare la reazione di tali professionisti all’approvazione di una legge che sanciva l’equipollenza tra il loro titolo (si ribadisce, acquisito all’esito di un corso di laurea istituito presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia e previo superamento di un test di ammissione per via del numero programmato) e la laurea in Scienze Motorie.
La disposizione, ormai abrogata, era stata inserita in un decreto legge cd. “omnibus” recante le misure più disparate (in materia di università, beni culturali, in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonchè in tema di rinegoziazione di mutui) ed aveva previsto l’equipollenza tra i due titoli a condizione che il laureato in scienze motorie avesse “conseguito un attestato di frequenza ad idoneo corso su paziente, da istituirsi con decreto ministeriale presso le università”.

Tuttavia, si trattava di un’equiparazione del tutto anomala, posto che la laurea in fisioterapia rientra nell’ambito delle discipline sanitarie, mentre, per espressa previsione del decreto che ha istituito la laurea in scienze motorie sostituendo l’ISEF, quest’ultima “non abilita all’esercizio delle attività professionali sanitarie di competenza dei laureati in medicina e chirurgia e di quelle di cui ai profili professionali disciplinati ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modificazioni e integrazioni (ossia personale infermieristico, tecnico e della riabilitazione, ndr)” (art. 2, d.lgs. n. 178/98).
Dopo anni di aspre polemiche, con legge del 21 aprile 2011, n. 63 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 6 maggio 2011) il legislatore ha abrogato l’art. 1 septies del d.l. 250/05 (conv. in l. 27/2006) che aveva sancito la suddetta equipollenza tra i due corsi di laurea, con la conseguenza che ai laureati in scienze motorie deve ritenersi definitivamente precluso lo svolgimento di attività riservate al fisioterapista.
Nulla osta, evidentemente, all’assunzione di laureati in scienze motorie per lo svolgimento di mansioni volte “al recupero ed al mantenimento delle capacità motorie e del benessere fisico ad esse correlato” (d.lgs. n. 178/98) che non si estendano – evidentemente – all’utilizzo di terapie fisiche, manuali, massoterapiche ed occupazionali, di esclusivo appannaggio della figura del fisioterapista.

Si tratta, evidentemente, di una linea molto sottile che deve tener conto delle specifiche realtà sanitarie in cui tali figure si trovano ad operare e dell’organizzazione del lavoro adottata.
In tal senso, molte regioni hanno ammesso la presenza del laureato in scienze motorie all’interno delle strutture sanitarie (pubbliche e private) “sia ai fini del mantenimento della migliore efficienza fisica nelle differenti fasce d’età e nei confronti delle diverse abilità, sia ai fini di socializzazione e di prevenzione” (l.r. Liguria, n. 41/06), specificando – tuttavia – come “tali interventi non comprendono attività di diagnosi, prescrizione, cura, riabilitazione, terapia ed ogni altra attività riservata a professioni sanitarie o mediche, cui spetta il compito esclusivo in materia” (D.d.G. Lombardia, n. 8366/2006).

Potrebbe interessarti anche
Diritto sanitario
Carenza di personale sanitario? Uno sguardo alle misure contenute nel nuovo “Decreto Bollette”
Nella Gazzetta Ufficiale del 30 marzo scorso è stato pubblicato il decreto legg...
3 min
Diritto sanitario
Salute, lavoro e previdenza: cosa c'è in dettaglio nella conversione del Milleproroghe
Il Milleproroghe resiste agli scetticismi: arriva la conversione in legge. La le...
9 min
Diritto sanitario
Assunzione specializzandi secondo il decreto Calabria possibile fino al 31 dicembre 2023
Il comma 3-quater dell’art. 12 del d.l. n. 24/2022 (come modificato dalla legg...
1 min
Diritto sanitario
Riconoscimento titoli sanitari, prorogate fino al 31 dicembre ’23 le deroghe
Fino alla fine del prossimo anno le aziende del SSN e le strutture sanitarie e s...
2 min
Diritto sanitario
Personale sanitario, per la tassa d’iscrizione ad Albo nessun onere per le strutture
Chi deve pagare la tassa d’iscrizione all’Albo professionale per il personal...
4 min