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Abbandono del posto di lavoro e giusta causa di recesso

2 Dicembre 2016

Con la sentenza n. 15441 del 26 luglio u.s. la Cassazione torna a porre nuovamente l’accento sugli elementi idonei a qualificare, ai fini della legittima risoluzione del rapporto, la condotta del dipendente che abbandona il proprio posto di lavoro.

Secondo i giudici della Suprema Corte, difatti, a nulla rileverebbe l’effettiva durata dell’abbandono della postazione lavorativa, venendo in tal caso unicamente in evidenza la potenziale capacità di una simile mancanza di incidere sulle ordinarie esigenze di servizio.
Quanto sopra – è ed questo senza dubbio l’elemento sottolineato dagli Ermellini che maggiormente rileva – anche indipendentemente dal fatto che in ragione della descritta condotta si sia concretizzato un effettivo danno in capo al datore.
Nel caso preso in esame dalla Corte, infatti, un dipendente di una società di trasporto e vigilanza privata veniva licenziato per giusta per aver abbandonato – seppur per pochi minuti – la postazione di piantonamento, senza aver preventivamente avvisato alcuno della sua intenzione, lasciando socchiuso il cancelletto pedonale e la porta della guardiola aperta.
Tale condotta veniva accertata da alcuni ispettori giunti presso la sede del cliente cui era assegnato il lavoratore il quale adduceva a giustificazione del proprio comportamento di essersi semplicemente recato in un bar poco distante per acquistare un giornale.

Impugnato l’intimato recesso, il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda del lavoratore volta ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, ritenendo sproporzionato il provvedimento espulsivo intimato in quanto ad avviso del giudice di prime cure si sarebbe integrata un ipotesi di “momentaneo allentamento” del posto di lavoro piuttosto che la più grave fattispecie dell’abbandono dello stesso.
Tale pronuncia veniva confermata anche dalla Corte di Appello di Firenze che, rigettando l’impugnazione della società, affermava che la fattispecie dell’abbandono del posto di lavoro potesse essere integrata solamente da un’assenza non momentanea in grado di determinare una significativa interruzione dell’attività lavorativa.
Secondo i giudici della Corte di merito il lavoratore difatti aveva lasciato il proprio posto di lavoro solo per pochi minuti, nel corso dei quali il sito da sorvegliare era comunque rimasto chiuso e con il sistema di allarme attivato tanto che, seppur nel breve lasso di tempo intercorso eventuali estranei avrebbero potuto avvicinarsi al perimetro aziendale, nessun danno si sarebbe di fatto verificato.

Avverso tale pronuncia l’azienda ricorreva per Cassazione rappresentando come i fatti contestati al dipendente integrassero una palese violazione degli obblighi fondamentali del rapporto di lavoro in grado di incidere in modo irreversibile sul vincolo fiduciario e dunque tale da giustificare la giusta causa di recesso operata.
La società ricorrente, faceva altresì rilevare come, ai fini della valutazione degli addebiti, era del tutto irrilevante l’effettivo verificarsi di un danno in quanto eventualità del tutto indipendente dalla omissiva condotta del lavoratore e scaturente da fattori puramente occasionali.
La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso proposto dalla società, ha cassato la pronuncia della Corte di merito ritenendo preliminarmente di escludere la fattispecie del momentaneo allontanamento dal posto di lavoro in quanto ipotesi disciplinare non rientrante nelle previsioni del contratto collettivo applicato.

Con riferimento, invece, alla più grave fattispecie rilevata dell’abbandono del posto di lavoro (peraltro contrattualmente tipizzata) la Corte ha precisato come tale condotta si caratterizza per una duplice connotazione, oggettiva e soggettiva.
Sotto il profilo oggettivo, dunque, verrebbe in evidenza unicamente l’intensità dell’inadempimento agli obblighi di sorveglianza “dovendosi l’abbandono identificare nel totale distacco dal bene da proteggere”; mentre, sotto quello soggettivo, a rilevare sarebbe unicamente la semplice coscienza e volontà del dipendente di abbandonare il sito da proteggere e, ciò, indipendentemente dalle eventuali finalità perseguite (salva beninteso la configurabilità di cause scriminanti) e dal verificarsi di un danno per la struttura.

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